Web reputation e lavoro sono strettamente intrecciate, e da tempo. Non servirebbe neppure ribadirlo, in fondo.

Il legame è ben saldo, certamente, per le aziende. Hanno infatti nei canali digitali un mezzo formidabile per rendersi autorevoli, credibili e degne di fiducia. E vale l’inverso: un utilizzo incauto della propria comunicazione on line può esporle a contraccolpi potenzialmente catastrofici.

Web reputation e lavoro vanno a braccetto anche per chi il lavoro ancora non lo ha, ma lo sta cercando. La costruzione di una propria reputazione online è infatti una componente essenziale da affiancare a un curriculum. Ed è sicuramente un fattore di cui i recruiter sanno tenere conto. Anche in questo caso vale pure l’inverso: postare contenuti controversi o farsi notare in negativo è un pessimo viatico per il mondo del lavoro.

Infine, il rapporto tra lavoro e reputazione sul web è, forse, ancora più delicato per chi già lavora. Qui, infatti, c’è un confine mobile da negoziare, tra la libera espressione della propria personalità, anche online, e la tutela della immagine professionale propria e dell’azienda per cui si lavora. Dove finisce la libertà individuale di postare ciò che si vuole e inizia la legittima esigenza di un datore di lavoro di non esserne danneggiato?

In tutti e tre i casi, allora, la web reputation è un elemento importante di una presenza professionale online. Costruirla in positivo, ed evitare di intaccarla poi, è una questione delicata che spinge le aziende e le organizzazioni, oltre ai singoli professionisti, a investire risorse e prestare sempre più attenzione. E che, più semplicemente, va affrontata mantenendo alcuni punti fermi, perché come diceva Warren Buffett

“Ci vogliono 20 anni per farsi una reputazione, e 5 minuti per distruggerla”

SOMMARIO

Costruire una web reputation individuale

Una identità digitale positiva si costruisce con la qualità dei contenuti e delle interazioni. Per chi cerca lavoro, comporta seguire una strategia di personal branding. In altre parole, farsi notare anche online e “sapersi vendere”. Senza inventare niente, anzi mantenendosi il più possibile aderente alla realtà.

I recruiter sono ormai ben allenati a valutare il profilo online di ogni potenziale candidato, cercando in particolare sui social media. Secondo alcune statistiche, il 91% dei processi di assunzione comprende anche la ricerca dei profili social di un candidato. E, nel 21% dei casi, non va a buon fine per via di ciò che compare sul suo profilo Facebook.

Un primo passo, quindi, e una buona regola in generale, è quello di attenersi alla netiquette del web. Evitare quindi comportamenti aggressivi, sessisti, xenofobi o in altro modo controversi. Dopotutto, lavorare in un’azienda significa relazionarsi in un team, e non saperlo fare bene online di sicuro è un punto a sfavore.

Potrebbe sembrare un consiglio piuttosto vago, ma può essere messo in pratica anche in modo più creativo. Per esempio, distinguere il proprio profilo pubblico da quello privato. Un buon compromesso per conciliare, sempre nei limiti della buona creanza, libertà di espressione e atteggiamento professionale.
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LinkedIn per la reputazione digitale

La reputazione digitale, del resto, non si limita a questo. Credibilità e autorevolezza si conquistano anche imparando a tessere una rete di relazioni interessanti. Anche dal punto di visto professionale, per le proprie ambizioni di carriera.

È il principio di fondo di un social network come LinkedIn, il cui profilo è quello di una job fair più che una bacheca annunci.

Più che semplici opportunità di impiego, infatti, LinkedIn offre altri vantaggi:

  • la possibilità di collegarsi con aziende e professionisti nel proprio campo di interessi;
  • la condivisione di informazioni e contatti utili ad avvicinare aziende e recruiter;
  • l’opportunità di conoscere meglio un potenziale datore di lavoro, la sua work culture e i profili che ricerca.

Insomma, LinkedIn è forse lo strumento principe per il personal branding. Secondo alcuni dati, il 90% dei professionisti della selezione del personale lo utilizza regolarmente. E l’Italia è al terzo posto in Europa per numero di iscritti, che a fine 2021 era di circa 16 milioni.

Se il social è dunque un’ottima piazza virtuale, chi lo frequenta sa che funziona soprattutto se si ha una presenza attiva al suo interno. La reputazione in questo senso si misura più che sul collezionare collegamenti sulla capacità di condividere contenuti interessanti, di coltivare le relazioni con scambio di opinioni, domande e risposte e così via.

Tutti ottimi sistemi per accrescere la propria reputazione digitale in un social strategico e molto ben frequentato.
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Brand reputation: le mosse chiave

LinkedIn è un social network fondamentale anche per le aziende. Queste lo possono utilizzare per il web marketing, per coltivare relazioni commerciali e opportunità di business, come pure per fare employer branding.

Oltre al canale social specifico, per un’azienda la questione della reputazione investe il complesso della propria presenza e comunicazione online. Ed è una questione sempre più importante, tanto per le aziende orientate al mercato consumer quanto per quelle che offrono prodotti o servizi in ottica business-to-business.

I primi sanno che in particolare i consumatori più giovani hanno un rapporto molto più diretto, fiduciario, con i brand, e sono quindi molto attenti alla loro comunicazione. Secondo un sondaggio eMarketer, l’83% degli utenti confessa di essere influenzato da ciò che si dice sui siti web o su altri canali digitali di un’azienda o un prodotto. E da un altro sondaggio appare che più del 60% degli intervistati sente una qualche connessione emotiva con i brand di cui acquista i prodotti.

Anche nel mondo B2B, gli operatori hanno ormai capito che parte importante della propria proposta di valore viene formata dal peso percepito della propria presenza online. Commenti negativi, o recensioni negative, possono anche in questo mercato minare il buon andamento delle attività. Di contro, molte aziende hanno saputo volgere a proprio favore quest’attenzione alla reputazione. Con una presenza online molto forte e apprezzata, a fronte di una reale consistenza molto più ridotta.

Da questo punto di vista i canali digitali sono una enorme risorsa per i piccoli e medi operatori, che possono vincere le dinamiche di scala del mercato “fisico” con la creatività e la qualità.
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I rischi per la web reputation

Costruire una reputazione digitale richiede metodo, costanza e creatività. E proteggerla è un lavoro altrettanto importante e delicato. I problemi, infatti, non sempre sono conseguenza diretta del proprio operato.

Un’azienda può infatti vedere lesa la propria immagine anche dal comportamento scorretto o inopportuno di un dipendente. Ed è una questione delicata perché, come si diceva all’inizio, in molti casi investe il nodo che lega libertà personale e responsabilità nei confronti del datore di lavoro. Che, anche dal punto di vista giuridico, non è sempre facile sciogliere.

Le cose si complicano in tempi di hybrid work: all’interno di un ufficio è relativamente semplice controllare le attività dei collaboratori, e vincolarli al rispetto di determinate policies aziendali. Nel momento in cui il lavoro si fa diffuso, diventa tutto più difficile.

Un comportamento incauto può così mettere a rischio dati sensibili: è accaduto con l’attacco hacker ai sistemi informativi della Regione Lazio nel 2021, sembra partito dall’intrusione nel PC di un dipendente in smart working. Con danni materiali, ma anche di reputazione, non indifferenti.

In altri casi, la questione riguarda più la gestione della comunicazione da parte dei dipendenti. Ancora oggi, digitando “social media manager INPS” compare ai primi posti il riferimento a ciò che successe nel 2019. Quando, con la presentazione delle domande per il reddito di cittadinanza, il servizio assistenza predisposto sul canale Facebook dell’INPS si trovò a gestire una mole di richieste eccessiva per le sue possibilità.

Con risultati tragicomici quando il referente dell’azienda perse la pazienza con qualche utente usando toni …un po’ aggressivi. Una situazione di cui la web reputation dell’INPS sicuramente ha sofferto.
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Come proteggere la propria reputazione digitale

Al di là dei casi concreti, la responsabilità di un’azienda rispetto alle azioni dei propri collaboratori va valutata caso per caso. Alcune azioni possono comunque prevenire gli incidenti più comuni o potenzialmente più gravi.

Per prima cosa: va messa a punto una policy chiara per la gestione della comunicazione sui canali ufficiali dell’azienda. Magari non si può (e non si deve) arrivare a monitorare le attività online dei membri del team, però si può almeno regolare il modo in cui utilizzano i canali aziendali.

Secondo punto: dedicare risorse alla gestione della propria presenza digitale. Un social media manager è ormai una componente importante in ogni azienda, e ha un ruolo cruciale. Oltre a promuoverne l’immagine, può infatti valutare il sentiment prevalente nei suoi confronti e agire di conseguenza. Personale esperto a presidio della propria reputazione digitale aiuterà a prevenire le controversie. In positivo, riuscirà a proiettare un’immagine coerente dell’azienda, in linea con i suoi obiettivi.

Infine, un terzo punto è quello di favorire la partecipazione attiva del team. Fare cioè formazione sulle opportunità e i rischi connessi alla presenza online, e come questi possono impattare sull’azienda per cui lavorano. Coinvolgimento che può anche essere mirato ad accrescere direttamente la brand reputation. Dopo tutto, le testimonianze di chi lavora in azienda sono spesso i primi contenuti che un candidato cerca prima di rispondere a un annuncio di lavoro.

In merito alla web reputation, quindi, singoli professionisti e aziende condividono le stesse esigenze. La capacità di aiutarsi a vicenda e collaborare alla creazione di una reputazione digitale solida e autorevole è un obiettivo comune che può avvantaggiare entrambi.

Per saperne di più: Brand reputation: come costruirla e mantenerla
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