Integrare nuovi talenti e competenze in azienda favorisce la trasformazione digitale ed è un bene. Professioni digitali e digital transformation, se ben combinati, favoriscono infatti un modello di azienda dinamica, produttiva e, in molti casi, più accogliente.

Davvero la digitalizzazione porta via posti di lavoro? Per certi versi sì, per altri il processo di trasformazione in corso richiede nuove competenze e ha bisogno di nuove figure professionali.

Professionisti con un bagaglio di conoscenze inedito, ma anche personale esperto capace di dirigere il cambiamento e fare in modo che sia compreso e assorbito pienamente. Queste figure esistono già e possono portare grande valore aggiunto a un’azienda.

Investire nelle professioni digitali e in processi di innovazione della struttura aziendale è un’operazione necessaria per il nostro sistema economico. Le ricadute positive si osservano già in molte realtà di successo: una struttura più snella e un utilizzo più razionale delle risorse, umane e materiali. E, se davvero le opportunità della Digital Transformation vengono colte nella loro interezza, un ambiente lavorativo più accogliente e stimolante.

Per le aziende, dunque, la digitalizzazione comporta anche un investimento in risorse umane. È quindi necessario fare il giusto employer branding per attirare professionisti motivati e adeguati ai propri obiettivi. Dall’incontro può nascere un percorso di reciproca crescita.

SOMMARIO

Italia 2030: come cambia il mercato del lavoro

“Italia 2030” è il nome di un progetto avviato a ottobre 2020 dal MISE in collaborazione con LUISS Business School. Un percorso di incontri e seminari per immaginare come sarà il nostro Paese nel prossimo futuro, e come dirigere le trasformazioni.

Il nome è suggestivo, l’orizzonte temporale non così remoto e lo scenario, quindi, decisamente realistico. L’Italia così immaginata da MISE e LUISS è un Paese che ha ormai adottato un sistema economico basato su circolarità, sviluppo sostenibile e digitalizzazione.

Il nuovo modello di azienda adopera in modo intensivo le tecnologie digitali. Ciò consente, tra le altre cose, di:

  • limitare il consumo di risorse ed efficientare i cicli produttivi;
  • automatizzare molte operazioni;
  • creare una organizzazione del lavoro flessibile.

Uno scenario idilliaco che magari non si realizza sempre compiutamente, e che pone sicuramente problemi di gestione dei processi e della forza lavoro attuale. È un fatto: l’economia immaginata da questo e molti altri studi è molto meno labor-intensive.

La Digital Transformation porterà via dunque posti di lavoro? Sì e no.

Come ogni cambiamento strutturale, produrrà sicuramente una riorganizzazione, e in questo processo figure professionali consolidate avranno meno ragione di esistere. Dall’altro lato, avrà bisogno di nuove competenze, qualifiche e professionalità, mediamente più specializzate e, almeno nell’immediato futuro, con maggiori possibilità di contrattazione.

Vedi anche: Come favorire la digitalizzazione aziendale e perché farlo
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Dove eravamo rimasti: Industria 4.0, Impresa digitale

Il cambiamento nel mondo del lavoro è continuo, per certi versi è una necessità, ma quanto avvenuto negli ultimi decenni è stato un processo particolarmente dirompente. L’utilizzo massiccio del digitale e dell’informatica ha comportato infatti lo stravolgimento complessivo di interi settori produttivi.

La competitività delle aziende contemporanee si basa allora sulla capacità di operare in modo rapido, estremamente flessibile e cost-effective. Per farlo devono snellire la struttura produttiva, ottimizzare le risorse ed estendere il raggio d’azione, per esempio sfruttando siti web e altri strumenti digitali. Obiettivi che possono raggiungere con una digitalizzazione mirata.

Per agevolare questo passaggio anche nel nostro Paese sono stati stanziati incentivi importanti, e varate politiche d’indirizzo specifiche. Il Piano Industria 4.0 e la Digital Transformation promossa dal MISE ne sono i principali esempi, e anche con i loro limiti hanno aiutato molte realtà produttive ad attrezzarsi meglio.

Entrambi i pacchetti di incentivi individuano specifiche tecnologie qualificanti e aiutano le aziende ad ammortizzare i costi per investirvi. Intelligenza artificiale, software di analisi e integrazione, Internet of Things e altri ambiti di innovazione che possono davvero cambiare in meglio il lavoro in azienda.

A questi programmi si affianca ora il massiccio piano di intervento del PNRR, per ridisegnare l’economia italiana attorno ai temi dello sviluppo sostenibile, della green economy e, ancora, della digitalizzazione avanzata.

Vedi anche: Piano Transizione 4.0: le opportunità lato software
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Dirigere la trasformazione digitale

Questo massiccio piano di investimenti, come pure le richieste attuali del mercato globale, spingono insomma verso una Digital Transformation che sia non soltanto strumentale ma di approccio.

Acquistare macchinari di ultima generazione o software ultrasofisticati non basta per modernizzarsi. E questo la maggior parte delle aziende lo sa bene. Molte PMI, e non solo, resistono all’innovazione proprio perché temono di snaturarsi, fare il passo più lungo della gamba e perdere quanto hanno costruito con un salto nel vuoto.

Questo è il motivo per cui l’investimento nella digitalizzazione deve essere mirato e guidato. Questo è anche il motivo per cui, nel caso di aziende già avviate, deve essere innestato nella struttura preesistente in modo non troppo traumatico.

Capire dove intervenire, quali sono gli strumenti giusti da adottare, quali le risorse da investire e quali i risultati da attendersi. Per individuare i veri punti di svolta servono figure professionali esperte, che abbiano sì competenze digitali ma non solo. Figure insomma che facciano da mediatori, legate al mondo attuale ma già attente allo sviluppo di nuove opportunità.

Indispensabili per la Digital Transformation sono allora i manager dell’innovazione, in grado di analizzare i processi aziendali e sviluppare piani di modernizzazione adeguati. Il Chief Innovation Manager, meglio se interno all’azienda perché più addentro ai suoi processi di business, ma anche i consulenti esterni.

Lo stesso piano Industria 4.0 ha definito in passato un elenco di Innovation Manager riconosciuti, certificati e distribuiti su tutto il territorio nazionale. Attivi anche voucher per le imprese che si avvalgono di consulenza per l’innovazione.

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Nuove professioni digitali e il lavoro che verrà

Accanto alle figure manageriali, è certo che per gestire l’azienda del prossimo futuro servono altre competenze e nuove professionalità.

Con il ricorso massiccio all’informatica, è naturale che le professioni del mondo IT siano tra le più richieste in azienda. Programmatori informatici e web developer, analisti e data scientist. Figure capaci di controllare, indirizzare e analizzare il comportamento dei macchinari sempre più sofisticati coinvolti in un ciclo produttivo.

Molto richieste sono però anche figure con competenze miste, che come nel caso dei manager fanno da ponte. In questo caso sono i designer, i progettisti delle interfacce e i professionisti della comunicazione. Loro è il compito di rendere comprensibile quanto viene elaborato lato macchine e favorire la migliore interazione tra reale e virtuale.

Perché il lavoro non viene certamente lasciato solo a software e hardware, e per svolgerlo a dovere servono istruzioni coerenti e quadri comandi pratici da usare.
E non solo. La comunicazione nell’azienda moderna è ancora più essenziale, e utilizza molti canali, ciascuno con proprie regole. Per darle un’impronta coerente servono specialisti in grado, per esempio, di analizzare il comportamento degli utenti in termini di customer experience.

Dall’immancabile social media manager al community manager, e ancora, copywriter e content manager: specialisti che formano e promuovono l’identità dell’azienda. Tanto all’esterno quanto all’esterno. Una buona comunicazione della brand identity serve infatti non solo a vendere di più, ma anche a motivare un team di lavoro e far capire gli obiettivi cui tendere.

Molti lavori dell’economia 5.0 sono dunque professioni ad alta specializzazione, anche nel comparto propriamente produttivo dove gestire i macchinari richiede competenze specifiche. Al tempo stesso, c’è richiesta di figure di mediazione e divulgazione.

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Nuovi lavoratori e come trovarli: fare employer branding

Almeno per il momento, sembra che questi nuovi professionisti vadano un po’ corteggiati. Il rapporto tra domanda e offerta, almeno per le professioni più ambite, pare infatti decisamente sbilanciato verso la domanda.

Sono allora spesso le aziende a competere tra loro per aggiudicarsi il lavoratore richiesto, più che il contrario, e per questo ricorrono a strategie di employer branding.

Cosa si intende con employer branding? In poche parole, creare un’identità aziendale attraente per le figure professionali più qualificate. E, quindi, attivare un processo di ricerca passiva di personale: saranno infatti questi ultimi a rivolgersi all’azienda invece che questa ad attivarsi con un annuncio di lavoro.

Il fine ultimo dell’employer branding è attirare le persone giuste, e farle restare in azienda. L’inserimento di un nuovo lavoratore è un processo dispendioso, ed è frustrante investire tempo e risorse per formare un collaboratore che poi lascia dopo un paio di anni. Capita con le persone più talentuose e ambiziose, ma anche quando non si riescono a offrire stimoli e prospettive di crescita.

Le nuove figure professionali, per esempio, sono abituate ad agire in un contesto lavorativo più agile e diverso dagli standard dell’ufficio anni ’90. Una situazione che prevede per esempio la possibilità dello smart working, la collaborazione in team agili e spesso operativi in remoto, il lavoro per obiettivi più che per monte ore. In generale, un equilibrio diverso tra lavoro e vita privata.

Vedi anche: Lavorare in team da remoto: strumenti per smart working
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Abitare un digital workplace confortevole

Il modello è quello dei business digitali stile Silicon Valley, ma anche in Italia diverse realtà aziendali contano oggi su team motivati, oltre che particolarmente produttivi. Realtà che magari riescono a far convivere il modello tradizionale dell’azienda a conduzione familiare con un’organizzazione più moderna e snella.

In sostanza, si può aggiornare il modus operandi e investire in digitalizzazione, e al tempo stesso mantenere un approccio umano ed empatico.
La cultura aziendale e l’etica del lavoro incidono parecchio anche sulle logiche di talent acquisition. I nuovi professionisti sono abituati alla mobilità, ma possono decidere di fermarsi in realtà in cui si trovano particolarmente a proprio agio. Il work-life balance è in particolare un elemento cui sembrano fare particolare attenzione. Un ambiente di lavoro confortevole, con ritmi meno serrati e spazio adeguato per le proprie esigenze, può allora giocare un peso notevole.

Per l’azienda dunque è importante comunicare un’idea forte della propria identità, dei valori e dell’etica professionale cui si attiene. E, oltre a comunicarla, mantenerla nei fatti.

Questo può davvero fare la differenza anche nella definizione della proposta contrattuale: dove, oltre allo stipendio, si valutano anche condizioni, tempi e modi del lavoro da svolgere, oltre alle agevolazioni accessorie. Per esempio appunto il work-life balance, i congedi per maternità – paternità e altro.

Vedi anche: 4 elementi che fanno funzionare bene un digital workplace
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Mondo Enter: l’ufficio diffuso, ancora più accogliente

Nel nuovo mondo, la presenza in ufficio assume importanza relativa. Il crash course in smart working seguito giocoforza per buona parte del 2020 ha portato disagi ma anche alcune acquisizioni. Una su tutte: è possibile bilanciare meglio presenza in ufficio e lavoro a distanza, e questo può incrementare anziché limitare la produttività. Specialmente in settori come l’IT.

Anche nel nostro Paese si ragiona allora sulla decentralizzazione delle aziende. Fenomeni come il South Working spingono a pensare al lavoro anche in relazione ai posti in cui si vive.

La nostra azienda sostiene questa posizione da tempo, e dopo vent’anni di attività può confermare che si può fare. I processi di digitalizzazione non hanno fatto che migliorare l’assunto di fondo: è possibile lavorare con strumenti e metodi innovativi anche fuori dai grandi centri, e spesso e volentieri conviene.

In Enter, per esempio, possiamo combinare progetti di respiro internazionale (il software di backup Iperius) con servizi di consulenza digitale per aziende del territorio. Proprio il nostro radicamento in zona ci aiuta qui a trovare soluzioni su misura per le loro esigenze.

La corsa allo smart working non ci ha sorpreso: con l’utility Iperius Remote abbiamo offerto a molte aziende un sistema di lavoro da remoto per mantenere contatti e produttività. Già da tempo, del resto, il nostro modus operandi si basa sull’approccio agile e il sistema “anytime, anywhere” di accesso al lavoro in azienda. Una struttura snella e però ancora a misura di persona.

Abbiamo provato in prima persona i benefici del digital workplace, e questo ci permette di promuovere questo modello e altri processi innovativi ai nostri clienti. Per farlo meglio, la nostra struttura operativa è sempre alla ricerca di professionisti motivati e volenterosi. L’obiettivo è crescere insieme e spingere verso un modello produttivo più a misura d’uomo.

Scopri di più: Come lavoriamo in Enter Software e chi stiamo cercando
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