Come funziona il rapporto tra imprese italiane e tecnologia digitale? Secondo alcuni studi pubblicati di recente, non come dovrebbe. Pure, le aziende hanno oggi a disposizione diversi strumenti e buone pratiche da cui prendere spunto. Vediamone alcune.

Il concetto di digitalizzazione aziendale è piuttosto ampio, e include pratiche di vario tipo e diversa invasività. L’idea di base, comunque, è quella di gestire informazioni e processi in maniera integrata sfruttando le opportunità offerte dalle tecnologie digitali.

I vantaggi sono molti, e anche le possibilità di ammortizzare gli investimenti accedendo a sgravi e incentivi. Come è possibile, dunque, favorire i processi di trasformazione digitale e, soprattutto, perché farlo?

SOMMARIO

Documenti aziendali e non solo: cosa si intende con digitalizzazione

Digitalizzazione, è chiaro, significa trasformazione dall’analogico al digitale di processi, prodotti e servizi: è un percorso che è iniziato da qualche decennio, ormai, ma che negli ultimi anni ha avuto un’accelerazione.

In particolare, in ambito amministrativo si è discusso molto di fatturazione elettronica e conservazione digitale. Buona parte delle pratiche amministrative e contabili possono ora essere prodotte direttamente in digitale, senza ricorrere a un originale cartaceo. L’eliminazione della stampa su carta, però, è solo l’aspetto più vistoso delle opportunità che offrono i processi di trasformazione digitale.

Un progetto di digitalizzazione, in questo senso, può applicarsi all’intera gestione di un’attività. Si possono innovare prodotti e servizi, processi di produzione, sviluppo e controllo.
Alcuni esempi di processi di digitalizzazione aziendale:

  • dematerializzazione della gestione documentale, appunto, con progressiva eliminazione degli archivi cartacei in favore dei documenti digitali;
  • integrazione di settori aziendali in software gestionali complessi, così da ottenere un controllo più accurato dei singoli processi e dell’insieme delle attività;
  • automazione di fasi di lavorazione con l’utilizzo di macchinari di nuova generazione, in grado di svolgere in proprio determinati compiti;
  • elaborazione e analisi dei dati di mercato e della customer experience mediante software di business intelligence e customer relationship management;
  • collegamento in tempo reale dei soggetti coinvolti nella filiera aziendale, per esempio fornitori e distributori;
  • gestione snella delle risorse umane, con condivisione di progetti a distanza e smart working.

Come si può vedere da questo breve e incompleto elenco, le possibilità sono molte. In generale, ciò che accomuna tutte queste soluzioni sono i concetti di condivisione, connessione e integrazione.

In sostanza si tratta di far lavorare in modo più intelligente macchine e persone, accedere e condividere più informazioni per eliminare ridondanze e ottimizzare le risorse. A fronte degli investimenti in software e macchinari, anche i vantaggi economici ci sono e possono essere molto importanti.

Un percorso di trasformazione digitale in azienda, dunque, è per un verso una necessità perché risponde a un cambiamento generale (anche della pubblica amministrazione), dall’altro una scelta volontaria che, se ben ragionata, paga.

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Le imprese italiane e le tecnologie digitali

Ma qual è il rapporto con il digitale dell’economia italiana e, in particolare, delle PMI che ne costituiscono il vero tessuto connettivo?

Sondaggi e statistiche disegnano un quadro con più ombre che luci, con percorsi di digitalizzazione caratterizzati da alcune eccellenze ma da una media al di sotto degli standard europei. Report come quello realizzato dall’Osservatorio Innovazione Digitale del PoliMi, per esempio, rilevano per le PMI un approccio ancora timido all’innovazione, nel quale spesso ci si limita all’adozione di singole soluzioni più che a una trasformazione profonda.

Il risultato è che secondo lo studio solo il 26% delle PMI interpellate sono mature in senso digitale, e quindi in grado di competere sul mercato internazionale. All’origine di questa situazione si possono ipotizzare diversi elementi.

Si rileva, come al solito, un certo scollamento tra le grandi aree produttive e le altre zone, che è anche conseguenza di un diverso accesso alle infrastrutture abilitanti. Paradossalmente, anche per beni immateriali come quelli tecnologici la posizione geografica sembra avere il suo peso.

Più ancora, a influire sul ritardo nella trasformazione digitale sembra essere un fattore di tipo culturale. Specialmente nelle micro e piccole imprese c’è ancora una certa ritrosia quando si parla di cambiamento, si tratti dell’adozione di software di data analysis, gestionali ERP o altri sistemi. Una diffidenza che riguarda anche l’aggiornamento del parco macchine, che potrebbe servire a rendere i cicli di lavorazione più efficienti e automatizzarne alcune fasi.

In questa diffidenza pesano molto motivazioni di tipo economico: un processo di digitalizzazione aziendale non è a costo zero e, quindi, la decisione di investire tempo e risorse non è semplice. Esistono del resto diversi incentivi e sgravi in materia, da quelli del pacchetto Industria 4.0 ai voucher specifici per la digitalizzazione delle PMI.

Al di là delle questioni economiche, allora, il fattore culturale incide nelle forme di rifiuto motivate da ragionamenti del tipo: “qui non funzionerebbe mai” oppure “ho sempre fatto così”. La tendenza cioè a considerare l’ammodernamento digitale della propria azienda inadatto alla propria situazione o inutile perché si pensa che le cose vadano bene così come sono.

Parte dell'infografica realizzata dall'Osservatorio Digitale del PoliMi per illlustrare i dati sulla maturità digitale delle PMI

Un’infografica che illustra alcuni dei risultati dello studio condotto dall’Osservatorio Digitale del Politecnico di Milano sulla maturità digitale delle PMI italiane.

Per saperne di più:
La ricerca del PMI Digital Lab sull’evoluzione digitale delle imprese italiane
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Il ruolo della formazione nella digital transformation

Parte di questa diffidenza deriva sicuramente anche da una mancanza di competenze e di figure specifiche che possano guidare un’azienda verso soluzioni non solo innovative, ma anche realmente efficaci per il modello di business di quest’ultima.

Va sottolineato allora come un’adozione acritica del digitale possa fare più danni della persistenza di modelli obsoleti. Trasformazioni repentine o salti in avanti sbilanciati servono a poco, se non rispondono a reali esigenze e opportunità di miglioramento di processi e servizi.

Serve allora avere un quadro più aggiornato delle possibilità a disposizione e, magari, il supporto di una figura interna o un consulente esterno per farsi aiutare nella scelta.
In questo senso, un altro tasto dolente dei report sul tema è la mancanza di professionalità del genere in o intorno all’azienda, che preferisce spesso affidarsi ai “soli” tecnici IT. Manca insomma una figura che possa disegnare una strategia complessiva di azione ed efficientamento digitale, e non solo gestire le problematiche quotidiane.

Una figura di questo tipo, che nelle grandi aziende è realtà da diverso tempo ma gradualmente anche le realtà più piccole stanno aggiungendo ai loro organigrammi, è quella del CIO o CInO, Chief Innovation Manager.

Il CInO è un manager dell’innovazione: come tale deve analizzare il funzionamento dell’azienda e individuare le opportunità di miglioramento offerte dalle nuove tecnologie. Non semplicemente adottare un determinato software, ma capire come, grazie alla digitalizzazione dei processi aziendali, si può far funzionare meglio un ciclo di produzione o si possono intercettare i target di mercato.

Il ruolo del CInO è quindi strategico, più che operativo: non è cioè un tecnico informatico, ma una figura che progetta e coordina strategie di innovazione in azienda. Avere nello staff un manager con queste caratteristiche è un investimento che può essere ripagato molto bene.

Per saperne di più: I risultati dello studio condotto dall’Università di Pavia sulla figura del Chief Innovation Officer  
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Innovation management e aggiornamento delle competenze

Un ruolo professionale simile a quello del Chief Innovation Manager è quello dell’Innovation Manager: per certi versi le due figure sono sovrapponibili, anche se il primo è generalmente interno all’azienda, il secondo più spesso un consulente.

Si è parlato molto di Innovation Management a fine 2019 per via dei voucher per consulenza all’innovazione, per mezzo dei quali il MISE ha inteso supportare le aziende nei loro processi di digitalizzazione.

Il bando è risultato molto partecipato, sia dalle aziende che hanno richiesto accesso ai finanziamenti, sia dei consulenti che si sono accreditati come manager dell’innovazione. Il risultato è che, con decreto del 20 gennaio 2020, sono stati stanziati ulteriori fondi per coprire altri progetti.

Il voucher innovazione, che sarà attivo anche nel 2020 e 2021, interviene proprio sull’esigenza di dare supporto e guida alle aziende nei loro percorsi. Le possibilità di intervento, come abbiamo visto, sono molte e possono riguardare ambiti operativi diversi. Serve dunque capire quali processi possono portare i maggiori benefici operativi.

Se un Innovation Manager fornisce supporto strategico e consulenza operativa, non vanno trascurate altre opportunità di consulenza e formazione proposte da Enti e associazioni di categoria. Camere di Commercio e associazioni imprenditoriali hanno infatti avviato sportelli di orientamento, supporto e consulenza proprio sui temi dell’innovazione e della digitalizzazione aziendale.

Da segnalare, per esempio, l’Innovation Hub: attivato dal CNA, fornisce supporto e consulenza alle PMI per avviare progetti di trasformazione digitale. Collegato all’Hub è il progetto del PMI Digital Lab, strutturato anche con incontri itineranti, nei quali vengono presentati progetti e casi di successo relativi ai temi della trasformazione digitale.


Video di presentazione della prima tappa del PMI Digital Lab, incontro itinerante sui temi della trasformazione digitale nelle piccole e medie imprese.

Per saperne di più: L’identikit degli innovation manager italiani secondo Invitalia 

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Altri interventi a sostegno della digitalizzazione aziendale

Quelli citati sono presidi importanti per fare orientamento e formazione, tanto più in ambiti e zone in cui un rinnovamento dei processi produttivi può servire a rilanciare settori economici in difficoltà.

Oltre alle importanti attività di sostegno e incentivo del MISE, vanno tenute presenti anche le iniziative sviluppate dagli enti territoriali, per esempio le Regioni, che in diversi casi hanno attivato bandi per stimolare processi di trasformazione in senso innovativo del tessuto produttivo.

Si può citare la regione Marche, la cui economia ha subito trasformazioni importanti negli ultimi decenni. In particolare, la crisi economica di fine anni ’00 e la metamorfosi di distretti storici come il calzaturiero e il tessile hanno reso necessario un ripensamento dei modelli di business.

La digitalizzazione aziendale offre diverse opportunità in questo contesto: snellire i processi produttivi, modernizzare i processi di gestione, ricollegarsi ai mercati internazionali. Relativamente all’innovazione, allora, va rilevato come in Regione negli ultimi anni sia cresciuto il numero di PMI innovative e startup, con una densità importante in rapporto al numero di abitanti.

Naturalmente, molto resta ancora da fare, e in questo senso un’importante azione di stimolo è anche quella delle istituzioni: la Regione Marche, in questo senso, ha adottato una strategia complessiva di supporto all’innovazione. Focus degli interventi: individuare nuovi strumenti per modernizzare l’impresa e renderla competitiva nel mutato scenario economico.

Incentivi e supporto da parte di Enti territoriali, istituzioni centrali e associazioni di categoria dunque ci sono. La digitalizzazione aziendale, nella molteplicità delle sue forme, è un investimento ma anche una risorsa, e saperne approfittare, magari con l’aiuto di consulenti esperti, è cruciale. Serve per competere nel mercato futuro, ma anche per connettersi ad altre realtà, come è stato fatto a livello europeo con progetti come, per esempio, Devise.

Vedi anche:
Software per PMI 4.0: soluzioni gestionali per l’innovazione  | Quale software per il workflow management nelle aziende 4.0?

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